Poco più di una settimana fa è stato effettuato in Italia il primo trapianto facciale. La ricevente, una paziente di 49 anni, affetta da una malattia genetica che le aveva deturpato il viso, era stata sottoposta ad un intervento durato ben 27 ore. La paziente aveva ottenuto i tessuti (pelle, vasi sanguigni, cartilagini, terminazioni nervose muscoli) da una donatrice di 21 anni morta in un incidente stradale.
L’intervento ha previsto perciò un tipo di trapianto allogenico di grande complessità, sia per l’estensione del tessuto cutaneo, sia per le varietà di cellule coinvolte al suo interno. Nonostante l’intervento sia tecnicamente riuscito, la paziente dopo poche ore, ha accusato gravi complicanze: purtroppo i tessuti non hanno trovato il microcircolo sanguigno e hanno iniziato ad andare in necrosi. In parole semplici, l’organismo della paziente non ha accettato i nuovi tessuti che sono andati così in rigetto. Ad oggi non si è ancora capito come mai i tessuti non abbiano legato al nuovo organismo, visto che c’era "il cross-match negativo tra donatore e ricevente" (ossia non doveva dare rigetto).
Come è successo?
Secondo Bohdan Pomahac, chirurgo esperto di chirurgia ricostruttiva che ha effettuato il primo intervento di trapianto di faccia negli Usa, questo tipo di rigetto si verifica nel 90% dei pazienti entro un anno dall'operazione; anche se nella maggior parte dei casi il rigetto si tiene sotto controllo con i farmaci che sopprimono in parte il sistema immunitario (non bisogna dimenticare che ad oggi anche chi subisce un altro tipo di trapianto come rene, cuore ecc deve seguire a vita una terapia antirigetto), esiste una percentuale di pazienti che ha una reazione di rigetto così massiccia che deve rinunciare alla nuova faccia, e prepararsi ad un nuovo trapianto.
Sembrerebbe essere questo il caso della paziente romana.
E ora?
La paziente, sicuramente preparata dall’equipe all'eventualità di un rigetto, non è in pericolo di vita, ma dovrà essere sottoposta ad una ricostruzione temporanea con tessuti autologhi, in attesa di un eventuale ulteriore ricostruzione facciale con tessuti provenienti da un nuovo donatore.
Anche se non è andata come si sperava, ciò ha segnato comunque un primo importante passo verso questo tipo di chirurgia ricostruttiva, con un intervento che è entrato a far parte della storia della medicina e che sarà usato come caso clinico di riferimento per capire come perferzionare e migliorare queste tecniche in futuro.
Cosa aspettarsi in futuro?
Purtroppo la trapiantologia è una branca della medicina che passa per una serie di apparenti insuccessi, che però servono ad indicare la strada giusta al progresso tecnico medico: si pensi ad esempio al cardiochirurgo Barnard, che ha aperto la strada ai trapianti di cuore.
Il primo intervento, da lui effettuato nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1967,permise al paziente di sopravvivere appena appena 18 giorni; il secondo, appena un mese dopo il 2 gennaio 1968, permise ad un altro paziente di sopravvivere al trapianto per più di un anno e mezzo. Ad oggi, grazie a quegli esperimenti rivoluzionari, il trapianto cardiaco è diventato un intervento che aumenta di molto le aspettative di vita di un paziente.
E si spera che anche in Italia per la chirurgia ricostruttiva del volto sarà solo un continuo miglioramento.